Tre affermazioni sul Corpo

di Eugene T. Gendlin, Ph.D., Università di Chicago
testo originale: http://previous.focusing.org/gendlin/docs/gol_2064.html
Traduzione a cura di Grazia Azzali, Francesca Degani e Roberto Tecchio – Novembre 2022

Introduzione

Com’è possibile concepire il Focusing in linea teorica? In questo articolo parlerò di come possiamo pensare al corpo vivente in una maniera che renda il Focusing comprensibile. Parlerò del corpo in relazione a determinate esperienze che sono più comuni di un felt sense.

Un felt sense arriva. Non è che sta lì ad aspettare. Dobbiamo lasciare che prenda forma e che arrivi. Questo richiede almeno qualche istante, a volte un po’ di più. Quindi capiamo che un felt sense è qualcosa che si sviluppa, è un certo pezzo di un processo vitale che va oltre. E da cosa nasce il felt sense? Come possiamo pensare ad eventi ed esperienze ordinarie in modo tale da poter comprendere cosa sia e come si formi un felt sense?

Un felt sense è qualcosa che sta lì ben distinto, qualcosa che ha una vita propria, a cui partecipiamo direttamente. Se prestiamo attenzione al nostro corpo, vediamo che il felt sense arriva dal centro di esso, e poi si colloca in uno strano tipo di spazio tutto suo. Porta con sé il proprio spazio. Ed è in questo spazio che il felt sense è un oggetto diretto: è un qualcosa in un certo luogo.

Vorrei parlare di alcune esperienze che sono come un felt sense, tranne per il fatto che in esse non si è ancora formato un oggetto altrettanto ben distinto e diretto. La maggior parte delle persone non è consapevole di rivolgere l’attenzione al proprio corpo affinché queste esperienze possano prendere forma e arrivare come un felt sense. Oppure, a volte queste esperienze prendono di fatto la forma di un felt sense distinto, ma non perché la persona abbia deliberatamente permesso che ciò accadesse. Pertanto, esperienze di questo genere si estendono lungo un continuum che va dall’essere a malapena notate fino a diventare un felt sense.

In un certo modo, tutti conoscono questo tipo di esperienza, eppure quasi nessuno la conosce davvero, vale a dire nel modo in cui semplicemente si conoscono altre cose. Tutti hanno a volte vissuto questo tipo di esperienza, eppure stranamente quasi nessuno ne parla. Nella nostra lingua non esiste un nome per definirla.

Faccio spesso questo esempio perché è qualcosa in cui tutti possono riconoscersi: quando al mattino ci svegliamo, talvolta sappiamo di aver sognato, anche se non ci ricordiamo che cosa. Eppure sappiamo che è accaduto perché il sogno ha lasciato una determinata strana sensazione, che ha una qualità unica. Se cerchiamo di esprimerlo a parole, potremmo dire qualcosa come: “C’è qualcosa che si sente…, beh…, non esattamente spaventato, ma nemmeno felice, non si sente in colpa, non triste…, uhm…”. È una sensazione che non ha un nome e che appartiene esclusivamente a quel sogno. Se sfiori e tocchi e assapori questa sensazione senza nome, l’intero sogno improvvisamente riaffiora. Tutti i numerosi eventi che sono accaduti nel sogno sono in qualche maniera compressi in questa piccola sensazione senza nome. (Sul sogno vedi ‘Lascia che il corpo interpreti i tuoi sogni’.)

Intuizione

Un altro esempio è ciò che definiamo una “intuizione”. Una situazione può apparire a posto in superficie, eppure accade che a noi non sembri così a posto. Cerchiamo di spiegare a parole cosa non va, ma tutto ciò che riusciamo a dire è “Questo è…, uhm,….”. I fatti oggettivi ci porterebbero ad assecondare la situazione. La sensazione di disagio dice “non farlo”. La maggior parte delle persone sa che non deve ignorare un’intuizione come questa. Quantomeno, esamina quella situazione più in profondità. Un’intuizione può anche sopraggiungere come una sensazione positiva di fronte a fatti apparentemente poco promettenti.

Negli affari, la capacità di cogliere queste intuizioni è definita “istinto imprenditoriale”. Permette di mettersi in una situazione favorevole, o di uscire da una sfavorevole, molto prima di tutti gli altri. A volte questo tipo di esperienza è chiamato “intuizione”. La parola definisce un modo in cui delle informazioni importanti arrivano ad alcune persone, anche se queste non sanno dire come.

Molte persone accettano semplicemente il fatto che questo tipo di esperienza possa rivelarsi vero e valido, anche se non hanno una concezione del come e del perché. Non ci fermeremo (solo) a dire questo.

Una intuizione è solo un piccolo esempio del tipo di esperienza che intendo. Ma proviamo ad esaminare un’intuizione più da vicino. Quando qualcosa dice “non farlo”, cos’è esattamente che sta parlando? Non sono le parole, ma quel disagio inquieto, di leggera nausea, inspiegabile, una sensazione corporea. Invece di sentirsi bene per le cose positive che sono visibili, ci si sente fisicamente a disagio per quella certa situazione.

Accade davvero nel corpo?

So che alcune persone diranno che hanno un’intuizione nella testa, non nel corpo. Alcune persone dicono anche che le loro sensazioni sono tutt’intorno a loro, piuttosto che nel loro corpo.

Per poter riflettere ulteriormente su come il Focusing sia possibile, dobbiamo pensare in una maniera diversa al corpo vivente. Per questo è importante sottolineare che quando stiamo parlando di Focusing usiamo la parola “corpo” in una determinata accezione: la usiamo, cioè, per parlare di come possiamo sentire il nostro corpo dall’interno.

1. Il corpo situazionale

Sappiamo tutti che i nostri corpi possono sentirsi a proprio agio o meno rispetto ad una situazione. Ma come è possibile in realtà? Il fatto è che il corpo conosce la situazione! Di solito non lo esprimiamo in questo modo. Diciamo piuttosto che siamo noi a conoscere la situazione e che il nostro corpo semplicemente reagisce a ciò che noi sappiamo. Se noi crediamo che una certa situazione sia positiva, ci aspettiamo che il corpo si senta a proprio agio. Se crediamo che una certa situazione sia pericolosa, il corpo dovrebbe reagire con rabbia o paura. Certamente il nostro corpo reagisce a ciò che noi pensiamo, ma non soltanto a questo. Il nostro corpo può sentire una certa situazione direttamente.

Per esempio, quando per strada vediamo qualcuno che conosciamo, ma non ricordiamo chi sia, è completamente diverso da quando vediamo un perfetto sconosciuto. Questa persona ci trasmette una sensazione molto familiare. Non riusciamo a collocare quella persona, ma il nostro corpo sa chi è.

Non solo: il corpo sa anche come ci sentiamo noi rispetto a quella persona. Per quanto non ricordiamo chi sia, il felt sense riguardo a quella persona ha una sua qualità ben distinta.

Se dovessimo descrivere il felt sense su questa persona che non riusciamo a collocare, potremmo dire, per esempio. “È una sensazione di qualcosa di disordinato, quasi torbido. Sento un po’ di agitazione, come se preferissi non avere molto a che fare con quella persona, ma c’è anche insieme una strana curiosità che non sembra essere troppo sana, e uhm…”. Se andiamo ancora più a fondo nella sensazione, poi, possiamo trovarci altro e altro ancora, sia su quella persona che su noi stessi. Tuttavia, il felt sense non può essere espresso a parole in modo esauriente. Per quanto bene possiamo descriverlo, in esso c’è sempre più di quello che abbiamo detto. Anche solo per esprimerne una parte, bisogna inventare nuove frasi perché esso non rientra nelle solite frasi e categorie. È esclusivamente la nostra sensazione riguardo esattamente a quella persona. Qualsiasi altra persona ci susciterebbe una diversa sensazione corporea.

Mettiamo il caso che all’improvviso ci ricordiamo chi è quella persona. A questo punto potremmo sentirci sorpresi. Potremmo dire qualcosa come: “Non sapevo di provare questa sensazione riguardo a quella persona!”.

Ma come possiamo comprendere tutto questo? È possibile che il nostro corpo abbia le sue opinioni sulle persone che conosciamo? E se è così, perché le tiene per sé invece di dircele subito?

È più semplice rispondere alla seconda domanda che alla prima. Normalmente non abbiamo una sensazione così ben distinta nel corpo riguardo a delle persone o degli avvenimenti. Questo accade con più facilità nel momento in cui ci mancano per un attimo le parole e i pensieri consueti, quando cioè siamo a corto di parole, oppure, come nel mio esempio, quando abbiamo dimenticato qualcosa.

È più difficile spiegare come il corpo possa conoscere delle situazioni in assoluto, e come possa a volte averne una conoscenza maggiore e più complessa di quanto “noi” (come diciamo) possiamo fare. Ma ecco ciò che possiamo già affermare solo partendo dall’esempio di una intuizione: abbiamo dei corpi situazionali. Il fatto che il corpo percepisca le situazioni è il primo punto che voglio sottolineare qui.

Il tipo di esperienza che intendo viene talvolta attribuito al “subconscio”, per quanto una sensazione corporea di questo tipo sia, senza ombra di dubbio, conscia. Siamo ben consapevoli di provarla quando è lì, eppure è vero che molta della conoscenza che può emergere da essa, prima era inconscia. Nell’inconscio non c’è una sensazione corporea percepita così direttamente. Quando la invitiamo a venire fuori, possiamo sentirla come appena nata. Non si trovava già lì, sotto, nell’inconscio. Al massimo si potrebbe dire che ha preso forma dal cosiddetto “inconscio”.

Ma chiamarlo “inconscio” non spiega questo tipo di esperienza. È solo un nome misterioso, come sono misteriosi i termini “presentimento”, “intuizione” e “istinto”.

Non lo possiamo spiegare con le solite teorie. Per spiegare cosa sia questo tipo di esperienza, dobbiamo prima cambiare il significato di “spiegare”. Non possiamo solamente sostituirlo con dei concetti. Oltre ai concetti, questo tipo di esperienza deve svolgere un ruolo in un nuovo tipo di spiegazione, un modo di pensare che usi questo tipo di esperienza.

Caratteristiche di questo tipo di esperienza

Che cosa possiamo dire di questo tipo di esperienza partendo solamente da questi due esempi?

  • L’esperienza è qualcosa di sentito piuttosto che di detto o visto. Non sono parole né immagini, ma una sensazione corporea.
  • Non si adatta ai nomi comuni o alle categorie di sentimenti. È una sensazione unica legata a quella persona o a quella situazione.

Dobbiamo poi notare un’altra caratteristica di questo tipo di esperienza:

  • Anche se questa sensazione corporea arriva come un’unica sensazione, possiamo percepire che contiene una certa complessità. Ora spiegherò ciò che intendo.

La nostra sensazione corporea rispetto alla persona che conosciamo contiene tutta la nostra storia passata con quella persona e ciò che speriamo relativamente a quella persona. Contiene inoltre ciò che quella persona suscita in noi e alcuni dei nostri problemi irrisolti. In quella sensazione c’è anche esattamente il modo in cui quella persona ci piace o non ci piace, e molto altro ancora. Ora mettiamo insieme tutto questo e chiamiamolo “una complessità”. Potremmo essere in grado di concepire razionalmente tre o quattro di queste cose, ma la maggior parte di esse rimane implicita. Quindi, una sensazione corporea di questo tipo contiene una complessità implicita.

Una complessità implicita non possiede ancora delle componenti o delle parti ben distinte. Eppure, quando in un secondo momento queste ci appaiono separatamente, diciamo che erano già lì, parti di quell’unica sensazione che abbiamo provato all’inizio.

Di solito non pensiamo alle sensazioni fisiche come a un qualcosa che contiene una trama così fitta al suo interno. Le sensazione fisiche dovrebbero essere una cosa semplice. Un dolore o una sensazione è semplicemente quello che è. È un qualcosa di opaco. Non ci aspettiamo una complessità nascosta, ad esempio, nel dolore lancinante di una caviglia slogata o nella sensazione suscitata dal colore rosso. Una caviglia slogata potrebbe essere stata causata da una situazione complicata, ma non ci aspettiamo di trovare la complessità di quella situazione all’interno del dolore generato. Ciò che distingue il tipo di sensazione corporea che sto descrivendo è che questa, invece, contiene decisamente una complessità implicita, “tutto quello” che ha a che fare con quella persona (o situazione).

Puoi percepire la complessità implicita, anche se non ne scopri nulla, anche se non riesci ad aprirla e ad entrarvi. Parlo proprio di “aprire ed entrare”. Questo tipo di esperienza corporea è infatti una porta. Se la apriamo e vi entriamo, possiamo percorrere molti passi al suo interno.

È tutto davvero così

Ogni persona e anche ogni situazione può generare in noi un felt sense, ad esempio il nostro lavoro, o qualche compito che dobbiamo svolgere, o un piccolo aspetto specifico di quel compito. Ogni volta il felt sense sarà una complessità implicita, non qualcosa di opaco come il rosso.

Un artista o una persona molto sensibile ai colori potrebbe obiettare rispetto a questo mio definire il rosso come “opaco” e dire qualcosa come “Ogni tonalità di rosso non ci porta forse una ben determinata complessità implicita, la sfumatura di una sensazione che contiene al suo interno molti aspetti della vita, e che potrebbe essere approfondita ancora e ancora?” Sono d’accordo, ma tutto questo non sta nel colore. Sta, piuttosto, nel nostro felt sense di quel colore. Un colore può facilmente far sorgere in noi un felt sense, ma lo stesso può fare anche qualche albero dalla forma strana, una vecchia scrivania, o anche una nuova: davvero qualsiasi cosa! Si può provare un felt sense in relazione a qualsiasi cosa, piccola o grande che sia.

Niente è tanto semplice e ovvio da generare in noi un felt sense semplice e ovvio. Qualunque cosa è vissuta dal nostro corpo in una maniera complessa, un vissuto che potremmo aprire e in cui potremmo entrare.

Se consideriamo il mondo non come un qualcosa costituito da elementi opachi, che sussistono come altro da noi, ma da elementi che si presentano come tali nelle situazioni che sperimentiamo con i nostri corpi, tutto cambia. Le cose e le circostanze non sono più ovvie e in gran parte immutabili. Ora, ognuna di esse si apre ad una implicita complessità a cui è possibile accedere.

2. Abbiamo corpi vegetali

Come può il corpo conoscere le situazioni della nostra vita in maniera più complessa di quanto non le conosciamo noi? E come può il corpo concepire nuovi modi di agire e di pensare? Rispondere compiutamente a queste domande richiederà del tempo. Dovrò parlare di complicati argomenti filosofici e di ricerche sulla psicoterapia. Qui tratterò il tema in breve.

Nella fisiologia e nella filosofia odierna si presume – erroneamente – che il corpo ottenga informazioni sul mondo circostante solo attraverso i cinque sensi. Non può contenere informazioni che non abbia visto, sentito, annusato, assaggiato o toccato. Alcuni filosofi hanno affermato che le nostri menti possiedono anche delle “idee innate”, ma questo concetto è sempre stato discutibile. L’ipotesi più comune, antica e moderna insieme, è che non possiamo conoscere nulla che non provenga dai nostri sensi. Come la mente e il corpo entrino in relazione, poi, è sempre stato un problema. Ma il corpo, in ogni caso, non dovrebbe ottenere informazioni se non attraverso i cinque sensi.

Ma che dire allora di tutti questi casi di conoscenza delle situazioni attraverso un sentire corporeo? Sono da considerarsi tutti strani e inspiegabili se ci atteniamo al consueto concetto per cui possiamo conoscere la realtà solo attraverso i cinque sensi. Com’è possibile allora che abbiamo corpi situazionali? Come possiamo concepire questa conoscenza che avviene attraverso il corpo?

Una pianta non ha i nostri cinque sensi. Non può vedere, sentire, o annusare. Ciononostante, ovviamente, la pianta contiene le informazioni necessarie alla sua vita. Vive di sé stessa; organizza le fasi successivi del suo stesso sviluppo corporeo, e le pone in atto se l’ambiente collabora nel fornirle ciò di cui ha bisogno. In questo modo la pianta possiede le informazioni relative alla sua vita dentro e con la terra, l’aria, l’acqua e la luce. Possiede tali informazioni, o potremmo dire piuttosto che lei stessa è queste informazioni, perché il corpo della pianta è fatto di terra, acqua, aria e luce. Si compone di questi elementi e quindi, naturalmente, contiene informazioni su di essi (è queste informazioni). Ma non stiamo parlando solamente di terra e acqua che stanno lì fuori da soli. Piuttosto si tratta di informazioni molto più complesse su come la pianta vive grazie a questi elementi, come se ne sostanzia. Notiamo che la pianta non ha bisogno dei cinque sensi per essere espressione di questo tipo di informazioni.

Anche i corpi degli animali contengono (sono) questo genere di informazioni. Anche loro si costituiscono delle cose che mangiano e dell’ossigeno che respirano. Queste informazioni corporee vengono elaborate da ciò che loro apprendono dai cinque sensi. I cinque sensi non sono di per sé pezzetti di cui si compone il mondo. Piuttosto, è quello che arriva attraverso i cinque sensi ad entrare nel corpo della pianta, è quello che elabora e modifica queste informazioni complesse. La vita degli animali è più complessa di quella delle piante. I loro corpi hanno (sono) almeno la stessa quantità di informazioni che hanno le piante. Organizzano e pongono in atto le loro complesse esistenze partendo dai loro corpi. Non sono i cinque sensi a costituire il mondo degli animali. Essi, unicamente, elaborano le informazioni già complicate della vita corporea, di ciò che la pianta è.

Il linguaggio e la cultura elaborano notevolmente il processo di vita e le informazioni dei nostri corpi vegetali. Il secondo punto che voglio sottolineare è questo: possiamo pensare alle nostre conoscenze linguistiche e situazionali non come a un qualcosa di separato e fluttuante, ma come elaborazioni dei nostri corpi vegetali già complicati.

Così facendo comprendiamo il modo in cui il corpo vivente conosce (sente, sperimenta, è…) la propria situazione dall’interno. Ma che cos’è, quindi, una situazione? Una situazione non è mai soltanto qualcosa di esterno (a noi).

Per esempio, diciamo che è un fatto esterno che la porta sia chiusa a chiave. Ma questa non è una situazione. Una situazione non è mai solamente un fatto esterno che esiste da solo, in quanto tale. La situazione, piuttosto, è il fatto che sto tornando a casa e realizzo che ho perso le chiavi. Oppure il fatto che sto lì rannicchiato dietro quella porta chiusa a chiave, sperando che regga mentre tre uomini cercano di buttarla giù. O forse che sono chiuso dentro e sto cercando di uscire. Una situazione implica sempre un essere vivente nel processo di organizzare la propria futura esistenza.

In maniera approssimativa possiamo affermare che il corpo conosce le situazioni perché esso è la nostra esperienza delle situazioni. Dal corpo provengono le nostre prossime mosse, non solo l’inspirare e il mangiare, ma anche il nostro interagire con gli altri e ciò che stiamo per dire loro.

Com’è stato possibile ignorare tutto questo così a lungo? È stato ignorato perché nulla di tutto ciò si adatta ad un mondo costituito interamente dallo spazio, dal tempo e dai cinque sensi. Il mondo così costruito è stato a lungo considerato fondamentale per la scienza. Sebbene tale concetto sia stato oggetto di molte critiche in ambito filosofico, solo ora stiamo sviluppando una valida alternativa a questa idea.

Come funziona questo tipo di esperienza in psicoterapia

Ho iniziato a lavorare su questo tipo di esperienza in ambito filosofico, ma prima spiegherò come avviene in psicoterapia, poiché lì è più facilmente osservabile.

In psicoterapia, all’inizio del percorso e per tutta la sua durata, quando le persone parlano di un problema dicono quello che possono al riguardo. Poi, a un certo punto, si fermano. Quello che si poteva dire è stato detto, eppure il problema non è stato risolto. Si sa che c’è ancora molto da dire, ma non si sa cosa sia. È ……

I silenzi fanno sentire a disagio alcune persone, che sentono il bisogno di continuare a parlare e allora trovano altre cose da dire. Ma se riescono a tollerare quel silenzio, possono rivolgere la loro attenzione a quel …., proprio lì su quel margine dove c’è qualcosa di più, che pure non può essere detto a parole.

In una serie di studi di ricerca su sedute terapeutiche che erano state registrate, abbiamo scoperto che la psicoterapia ha successo quando le persone lavorano con questo tipo speciale di esperienza. Si tratta oggi di una delle scoperte più solidamente confermate nella ricerca sulla psicoterapia.

Ecco cosa si sente in una di queste registrazioni: si sente la persona che dice qualcosa, e poi fa una pausa. Dopo un momento di silenzio, la persona dice: “No, quello che ho detto non era giusto; non è proprio così; è ….. hmm …..” e fa di nuovo una pausa. Dopo un po’ la persona potrebbe dire qualcosa come: “È proprio lì, ma non so cosa sia”. Poi, dopo un altro silenzio, all’improvviso: “Oh, sì, sembra qualcosa come …..”. E dopo qualche frase, di nuovo: “Vediamo, è giusto?”. Un altro silenzio, poi forse un grande respiro e “Sì, è così, è proprio così”.

Questo controllo silenzioso è possibile perché c’è qualcosa lì con cui confrontarsi. È qualcosa di sentito, ma non ancora conosciuto. È percepito come qualcosa di significativo, ma non immediatamente riconoscibile. È il ..… Lo chiamiamo ora “felt sense “, o senso sentito.

Si può sentire la persona dialogare con il ….. Anche se non si sa che cosa sia, la persona è certa che “non è” quello che è stato detto inizialmente. A volte viene proposta un’intera serie di affermazioni tutte alquanto probabili, eppure nessuna di esse “è”. Come si sa che queste non sono giuste? È perché quel tacito ….. non si muove in risposta a nessuna di queste definizioni plausibili.

Alla fine qualcosa emerge da questo senso, solo un poco, un accenno, una piccola parte, un pensiero. Questo poco potrebbe non sembrare molto speciale. Di per sé potrebbe essere meno interessante di quanto ci si aspettasse. Ma quando la persona dice: “Fammi vedere, è giusto?”, c’è un effetto direttamente percepito. Quel pensiero è speciale perché insieme ad esso il senso sentito si muove, si agita o si distende un po’. Quindi quel poco è speciale. È prezioso. Il suo arrivo è un passo sulla strada che porta a qualcosa di più. Ci saranno molti passi di questo tipo.

Fino a qui l’ho descritta come se la persona si limitasse a sperimentare o ad ascoltare quanto emerge dal ….. Ma la parte in cui la persona dialoga con questo comporta molto di più.

Il processo si muove per passi. Quanto emerge da un singolo passo di solito non risolve nulla, ma cambia in qualche modo il senso sentito. Da questo senso che è cambiato può nascere un altro passo.

All’inizio, quando si sta lì su questo margine, sembra proprio che non possa accadere niente di particolare. Sembra un luogo poco promettente, bloccato. Ma quando arriva un senso sentito, una sensazione dell’intero problema, di “tutto questo”, ci si sente meglio, anche prima che qualsiasi altro passo emerga da questo. In maggioranza, i passi sono anche piuttosto piccoli: una leggera nuova energia, un lieve rilassamento dove prima tutto era rigido, un po’ di respiro, un piccolo fremito di vita insieme a qualcosa che ora possiamo esprimere. Questi piccoli passi potrebbero non sembrare dei grandi progressi. Se non si ha familiarità con questi piccoli passi, si potrebbe facilmente ignorarli. Tuttavia, una volta abituati a questo processo, si apprezza e si persegue tutto ciò che porta un leggero cambiamento nel senso sentito. Presto ci sarà un altro passo, e un altro ancora. Alla fine si arriva ad un grande passo, ad un grande cambiamento nel modo in cui tutto il corpo si sente rispetto ad un certo problema. A quel punto cambia anche la comprensione del problema. Ora cambia l’intero scenario di cui si stava discutendo. Sono molto diverse le cose che appaiono importanti adesso. Ma un solo grande passo non è abbastanza per risolvere un problema. Potrebbero volerci molti passi. Mesi dopo ci si rende conto di non avere più quel problema, e di non averlo più avuto da tempo.

Nel mio libro, Focusing, mostro come si possa imparare a lasciare che arrivi un senso sentito, e come ci si possa dedicare ad esso in modo che i passi si compiano. Lo insegniamo anche al Focusing Institute di Chicago.

A volte è il passato ad emergere da un senso sentito. Ma le persone non cambierebbero in terapia se si limitassero a scavare nel loro passato. Inoltre, ciò che è ancora più importante, è che stando lì sul margine molte cose piuttosto nuove possono emergere dal senso sentito.

Anche il passato è molto più complesso, più finemente intagliato di quanto pensassimo, quando emerge da un senso sentito. Non eravamo consapevoli di queste complesse connessioni, di queste intricatezze uniche, né quando ricordavamo questi eventi, né quando li abbiamo vissuti in origine. Diciamo che ciò che stiamo scoprendo ora è sempre stato lì. In realtà non è così, come spiegherò. L’emergere di un senso sentito e i passi che ne conseguono sono in continuità con ciò che è stato – ma vanno anche oltre.

In terapia si cambia; non si arriva solo a conoscere il proprio passato più in profondità. Si generano nuovi modi di essere, che ovviamente non sono la conseguenza logica di ciò che si è stati. Né si può semplicemente imporre a sé stessi dall’alto un nuovo modo di essere. Esiste, infatti, un ruolo per progettare noi stessi in modo nuovo, ma questo di per sé di solito non ci cambia molto. Bisogna fare in modo che il progetto di noi stessi cui aspiriamo sia in relazione con la sensazione di come siamo. Allora emergono piccoli passi di cambiamento nuovi e ben più complessi, che ci conducono non esattamente a ciò che abbiamo progettato, bensì a qualcosa di gran lunga migliore e più finemente lavorato.

Che si tratti di passato o di presente, ciò che qui intendo dire è che ciò che emerge è più complesso di quanto il linguaggio comune possa esprimere. In terapia si deve stravolgere il linguaggio, lo si deve avvicinare alla poesia per poter dire alcune cose.

Questo mi conduce al prossimo esempio:

Quel …. nella Poesia

Un poeta è nel bel mezzo della scrittura di una poesia. Sono stati scritti sei o sette versi e sembrano abbastanza buoni. E adesso?

Il poeta potrebbe sentirsi solamente confuso o bloccato, oppure potrebbe esserci un senso sentito molto ben definito di cosa la poesia ha bisogno ancora di dire. Mentre il poeta legge e rilegge i versi fino al punto in cui si fermano, ecco che arriva qualcosa di più. Lì dove i versi si fermano, la poesia continua, ma non a parole. I versi si fermano, ma la poesia ..…

Molte frasi suggeriscono un certo qualcosa di per sé, ma non esprimono questo qualcosa. Alcune di queste frasi sono abbastanza buone da essere prese in considerazione. Il poeta ascolta questi versi che vengono suggeriti. Dopo averli messi per iscritto, cosa potrebbero dire di nuovo questi versi qui, in questo punto, in questo ….. dove la poesia incompiuta continua?

La maggior parte di questi versi viene scartata. A volte un verso di questo genere tenta il poeta: “Usa questo verso, è ben scritto, nessuno saprà che non dice davvero ciò che vuole essere espresso in questo punto”. Il poeta cerca di condurre quel verso ben scritto verso il …… . Ma no. Quel ….. non troverà corrispondenza con quel verso. Continua col suo esprimere qualcosa di implicito e si tiene a distanza da quel verso ben scritto. Insiste nel suo rimanere non espresso da quel verso. Sta lì, rigorosamente implicito esattamente come prima, per nulla modificato/toccato da quel nuovo verso ben fatto. O peggio, il ….. è svilito dal verso; appassisce, si riduce in intensità e rischia quasi di sparire, minacciando di lasciare il poeta bloccato lì. Bisogna fare presto: togli di mezzo quel verso che non dice la verità! Scrivilo a margine; conservalo per un altro giorno e per un’altra poesia, forse. Ma presto, rileggi di nuovo i versi scritti e ah, sì – eccolo lì di nuovo: quel ….. – il senso sentito di come la poesia continua laddove le parole si fermano.

Il ….. avanza delle richieste, sollecita, affama, insiste, sa, preannuncia, implica, vuole ….. qualcosa di così preciso che è quasi come se fosse già stato detto, eppure quelle parole non ci sono ancora. La mano del poeta gesticola, ruota nell’aria. Quel ….. è così esigente, così dettagliato, più preciso di tutte le espressioni di uso comune. Il ….. non è a un livello pre-verbale. Capisce il linguaggio, come vediamo dal fatto che risponde ai versi suggeriti e sa che non vanno bene. Il ….. non è davvero privo di parole, piuttosto è pieno di parole implicite e anche di situazioni implicite. Anche molti aspetti della storia e della cultura sono impliciti. Ma questo, che vuole essere detto, non è mai stato detto prima. Il ….. è pieno di parole che stanno lottando per riorganizzarsi in nuove frasi. In frasi che ancora non esistono. E potrebbero non arrivare mai; la poesia potrebbe essere lasciata incompiuta.

Ora, come può questo ….. esprimere implicitamente ciò che non esiste e non è mai esistito? Eppure, esprime esplicitamente proprio quel certo qualcosa e non è disposto ad accettare niente di meno. Quello che ….. esprime implicitamente è più preciso, più specifico, più complesso delle frasi di uso comune. Ciò di cui parla la poesia si rivela quindi più complesso di quanto la nostra lingua possa mai avere detto. La poesia esprime implicitamente qualcosa che è più complesso, più precisamente descritto di qualsiasi altra cosa che sia già conosciuta.

Poi, finalmente, arrivano determinate frasi. Questa volta il ….. non rimane più lì fermo, a esprimere implicitamente qualcosa di diverso da quel verso. Non appassisce, non si riduce in intensità e non scompare. Scorre in questo nuovo verso. Il verso lo porta con sé, lo trasporta. Ma il verso dice anche qualcosa di più di quello che il ….. esprimeva implicitamente. Il poeta dice che ora questo verso è ciò che era quel ….., ma non è del tutto esatto.

Il verso permette al poeta di scoprire più di quello che c’era prima. Il verso rivela, apre, espande, sviluppa il ….. Il verso porta quel ….. ad un livello superiore. Porta il ….. più avanti.

A questo punto possono arrivare altri versi senza intoppi per un po’, finché non c’è di nuovo un punto di arresto. Si rilegge ancora, arriva un nuovo ….., molti versi vengono scartati e, con un po’ di fortuna, un verso permette di continuare.

Non c’era una definizione per descrivere questa relazione col resto, una continuità che porta a qualcosa di più. Ora la chiamiamo “elemento trainante”.

Notate che l’elemento trainante si distingue nettamente da tutte le altre volte in cui il ….. non si è mosso. Questo è ciò che lo distingue sensibilmente da tutti quegli altri suggerimenti che lasciano il ….. ancora appeso lì, come prima. Notiamo anche che il corpo conosce la lingua, poiché riconosce quando le frasi non dicono ciò che è espresso implicitamente. Vediamo di nuovo che il corpo conosce la situazione, l’aspetto della vita che il poeta sta cercando di esprimere a parole. Altrimenti non potrebbe sapere con tanta precisione che i versi proposti non ne sono all’altezza.

Il “…..” del poeta agisce come se i versi fossero stati dimenticati e venissero ricordati, ma naturalmente non è così! Sono nuovi. Vediamo ancora una volta che il corpo può implicare qualcosa di nuovo. L’ho già sottolineato parlando della psicoterapia. Molte teorie sostengono che possiamo trovare nell’esperienza solo ciò che è stato immesso dall’esterno. Non è così! Il nostro corpo è più intricato di tutto ciò che abbiamo sperimentato, di ciò che ci è stato insegnato e delle situazioni in cui abbiamo vissuto. Tutto ciò che entra nel nostro corpo più intricato non viene solo registrato, ma viene vissuto ulteriormente! Le esperienze passate diventano parte della vita futura. E anche l’arrivo di un senso sentito è un’ulteriore vita. Da esso può nascere qualcosa di nuovo e più complesso di quanto finora conosciuto.

Ancora: tutto è così

Una bella poesia ci porta qualcosa che non è mai stato detto prima, di solito qualcosa di più complesso di quello che si dice di solito. Ma una poesia può riguardare qualsiasi cosa, qualsiasi aspetto della vita. Ci accorgiamo che ogni cosa è davvero più di quello che appare normalmente. Ogni cosa è anche una intricatezza in cui possiamo entrare. Possiamo conoscere qualsiasi cosa molto più a fondo se pensiamo al ….. che ci può offrire.

Il ..… nel pensiero

Questo ….. avviene anche ai margini ogni volta che pensiamo in modo nuovo a qualcosa. I nostri ulteriori passi di pensiero sono implicati e guidati dalla sensazione al bordo del pensiero, il ……

Pensiamo questo e quello e quell’altro, ma poi raggiungiamo un bordo dove percepiamo di più, ma non possiamo ancora a pensarlo. Sappiamo tuttavia di non doverci allontanare da quel bordo. Potremmo passare accanto a quel bordo e andare avanti in modi già conosciuti e veri, ma no, rimaniamo su quel bordo; preferiamo rimanere là, fermi. Addirittura giustifichiamo quel bordo: abbiamo una pista! Lì arriverà qualcosa di nuovo!

3. Il corpo implica il passo successivo giusto

Nella sua autobiografia, Einstein riferisce che per quindici anni, mentre lavorava al problema che portò alla teoria della relatività, era guidato da una “sensazione” di ciò che sarebbe stata la risposta. Certamente, con “sensazione” non intendeva una reazione emotiva; aveva un ….. che implicava un passo successivo che prendeva forma con difficoltà. Il corpo può esprimere implicitamente qualcosa di nuovo dopo avere assorbito la lingua e sofisticate conoscenze umane. Il corpo di Einstein aveva appreso molte nozioni di matematica e fisica. Ma il nuovo passo non arrivò soltanto dalla matematica e dalla fisica. Da esse non conseguì alcuna nuova teoria. Per questo era un problema. Dopo avere assorbito tutto questo, il suo corpo aveva continuato fino a esprimere implicitamente un nuovo passo giusto.

Come ho già affermato, le sensazioni e ciò che apprendiamo entrano a far parte di un corpo vivente che è già piuttosto elaborato. Quando pensiamo, elaboriamo più di quanto è arrivato dall’esterno. È così che Einstein riuscì a trovare più di quello che otteneva soltanto dalla matematica e dalla fisica.

Ora, osserviamo che il corpo non soltanto esprime implicitamente qualcosa di più, ma anche un passo successivo giusto. Questo “giusto” è associato a qualcosa di etico, ma in modo complicato. Il corpo può anche sviluppare una dipendenza che utilizza, ma che sovverte la sua implicazione del passo successivo. Vi è anche un senso diretto dell’errore, di qualcosa che non è giusto. Vi sono molte altre complicazioni che vale senz’altro la pena studiare, poiché la loro conoscenza ci permette di utilizzare in modo più efficace l’implicazione del passo successivo giusto del corpo. In questo momento, vogliamo soltanto comprendere l’implicazione del passo successivo come tale.

Per afferrare il significato di “giusto” in questo contesto, dobbiamo osservare dei casi più ovvi. Ogni corpo vivente esprime implicitamente i passi successivi del suo processo di vita. La pianta esprime implicitamente che il sole sorgerà, e la sua fotosintesi con il sole.

Gli etologi hanno scoperto che i comportamenti complessi, come la danza del corteggiamento, la costruzione del nido e la ricerca del cibo sono ereditati. Il corpo vivente esprime implicitamente ogni passo successivo di complessi processi di vita. In un gatto, al corpo vegetale si è aggiunta tutta una serie di complessità. Quando il gatto è affamato, il corpo esprime implicitamente il rimanere seduto davanti a un buco nel terreno. Implica qualcosa che uscirà dal buco, e una serie complessa di salti. Il corpo del gatto può anche esprimere implicitamente dei passi successivi innovativi quando non può eseguire i passi consueti a causa di circostanze nuove per i gatti. Il corpo può apprendere e sommare una serie di nuove circostanze, e può esprimere implicitamente l’apertura della finestra per uscire di casa. Talvolta riesce anche ad aprire la finestra.

I nostri corpi vegetali hanno fatto proprie anche la lingua, la matematica e la fisica. Ora possono esprimere implicitamente un passo successivo giusto nelle situazioni che le includono. Quando la vita si arresta, quando percepiamo un problema, i nostri corpi esprimono implicitamente un nuovo passo (a prescindere dal fatto che siamo in grado di dargli una forma e di attuarlo).

Quando guidiamo una macchina o pilotiamo un aereo, una volta che il corpo ha assorbito i dettagli può esprimere implicitamente un passo successivo giusto nuovo e più complesso di quanto abbia appreso.

Naturalmente abbiamo molte mancanze. Senza tutta quella matematica e fisica, il corpo di Einstein non avrebbe espresso implicitamente un passo successivo efficace; tuttavia, dopo avere acquisito la conoscenza, Einstein percepì il nuovo passo. Il suo corpo esprimeva implicitamente il passo successivo. Questa implicazione lo guidò a identificare nuovi aspetti specifici, nuove differenziazioni per attuare il passo successivo.

Il corpo mette insieme le circostanze che conosce ed esprime implicitamente il passo successivo, che sia la teoria della relatività o l’atto di inspirare. Questo non è stato compreso a fondo. Il corpo vivente esprime sempre implicitamente il passo successivo giusto.

Ciò che arriva a livello corporeo

Non possiamo raggiungere un orgasmo, o addormentarci, o piangere semplicemente perché lo vogliamo. Per riuscire a piangere, possiamo evocare un evento triste. Forse le lacrime arriveranno, o forse no. Possiamo invitare il sonno; possiamo sdraiarci e tentare di smettere di pensare. Siamo abituati al fatto che il sonno deve arrivare. Lo stesso avviene per la rabbia o l’affetto: possiamo cercare di fingere, ma per provarli davvero devono arrivare.

Questo accade anche con le parole. Quando tutto va liscio, ci lanciamo nel discorso e le parole giuste escono da sole. Ma se non arrivano, che cosa possiamo fare? Attendiamo che arrivino.

Anche i nuovi pensieri sono così. In un secondo momento li attribuiamo a noi, ma non siamo stati noi a crearli. Ci mettiamo nella disposizione giusta, ripassiamo le vecchie idee come il poeta che rilegge i versi già scritti. Rimaniamo là, dove si fermano le vecchie idee, sperando che arrivi un ….., un senso implicito di qualcosa di più di quello che abbiamo già pensato. Se non arriva, non possiamo fabbricarlo. Il suo arrivo è corporeo, come gli altri esempi che ho fatto qui.

Il ..… nelle nostre situazioni di confusione

La creatività è divenuta essenziale nella nostra vita. Non è più una capacità peculiare di determinate professioni.

Oggi non potremmo più vivere se ci attenessimo soltanto alle regole, ai ruoli e alle abitudini che ci sono stati insegnati. Non è che non possiamo vivere senza queste vecchie abitudini, ma dobbiamo modificarle ed elaborarle. Molte delle situazioni che viviamo sono ora più complesse e a volte uniche.

Ogni giorno, al lavoro e anche con le persone vicine, vi sono situazioni in cui non possiamo semplicemente andare avanti e fare una delle solite cose che conosciamo. Dobbiamo immaginare delle nuove strade.

La società è divenuta più complessa delle abitudini e dei concetti che insegna.

La maggior parte degli osservatori della società di oggi non vede questa maggiore complessità. Vede soltanto che i vecchi schemi non ci sono più, e i tranelli e le mancanze che ciò comporta.

Questi osservatori pensano che senza gli schemi sociali, nelle persone vi sia solo disordine. Per questo le nostre attuali difficoltà di vita sono semplicemente ciò che si attendono. Le identità professionali definite socialmente non sostengono più le persone. I matrimoni non sono più sacri. Le relazioni fra le persone non durano. Le persone non sanno che cosa fare in molte situazioni e nella vita. I vecchi schemi offrivano una guida per tutto questo, e gli osservatori ritengono che soltanto degli schemi imposti dall’esterno possano svolgere questa funzione.

La rottura dei vecchi schemi è causata da una nuova evoluzione che è soltanto agli inizi. Non è solo qualcosa che si è rotto ed è andato perso, ma è anche un’apertura verso un’ulteriore evoluzione. Mostrerò come si è arrivati allo stadio attuale e come ora si stia entrando in uno stadio successivo, che potrebbe comportare nuovi tranelli, ma che permette di superare quelli attuali. E apre a un modo di vivere totalmente nuovo.

Il tipo di esperienza che ho evidenziato svolge un ruolo centrale nel movimento verso lo stadio successivo.

È vero che l’annullamento di solide abitudini sociali può lasciarci in un vuoto. Quando il vecchio significato tradizionale delle nostre relazioni sociali perde di efficacia, per qualche tempo potremmo non trovare nulla che lo sostituisca. Potremmo cadere in uno stato di maggiore indulgenza, poiché i vecchi e disciplinati modi di vivere sembrano non avere più senso. Quando ci mancano motivazioni “più alte”, tendiamo a cadere in quelle più basse. O ci manca del tutto una vera motivazione, e abbiamo meno su cui basarci rispetto a quanto offrivano le vecchie guide.

Consideriamo tuttavia quanto segue: almeno qualche volta, abbiamo dei buoni motivi per non attuare una delle vecchie abitudini. Sicuramente, a volte rifiutiamo i vecchi codici perché è più semplice. Ci misuriamo meno, o almeno ci proviamo. Ma qualche volta non possiamo fare ciò che ci è stato insegnato perché in una determinata situazione percepiamo più di quanto possano contemplare le vecchie abitudini.

In una situazione difficile, se non possiamo agire con facilità nel modo consueto, e se non ci inventiamo rapidamente un nuovo modo, che cosa abbiamo e percepiamo? Confusione, frustrazione, forse. Potremmo semplicemente essere bloccati. Ma che cosa ci dice che le azioni e le frasi ordinarie sono insufficienti o non sono ciò che occorre? Se ci poniamo questa domanda, e se prestiamo attenzione a ciò che ci ferma, potremmo scoprire che abbiamo un ….., un senso di ciò che occorre, di ciò che funzionerebbe, se solo potessimo identificarlo.

Quando non sappiamo cosa fare, percepiamo più di ciò che riusciamo a dire. Se prestiamo attenzione direttamente a ciò che sentiamo, è come un’intuizione: il ….. sa più di ciò che siamo in grado di dire o di fare. Come Einstein, abbiamo una “sensazione”, un senso non chiaro della soluzione che stiamo cercando. Questa sensazione è sufficiente a farci respingere tutte le strade a disposizione, benché non esista ancora il nuovo movimento che permetterebbe di trasformarla in azione.

A partire dal….. potremmo essere o non essere in grado di identificare l’azione che ci occorre. Potrebbe non arrivare per molto tempo, o mai. Ma è più probabile che troviamo un modo nuovo se abbiamo prima un senso sentito corporeo di ciò che è necessario, e se ci prendiamo cura di quel senso. Implica e prefigura nuove vie che non si sono ancora formate.

Ad esempio, quando devo affrontare una situazione come padre, posso ricordare ciò che avrebbe fatto mio padre in una situazione del genere. Naturalmente voglio essere diverso da lui in qualche modo, ma non posso nemmeno fare semplicemente ciò che lui faceva e che apprezzavo. Non funzionerebbe. I ragazzi di oggi sono diversi da come eravamo noi; è questo? Nondimeno, mi piace come sono i miei figli. Io stesso li ho incoraggiati ad essere diversi da come ero io. Il problema è che nella situazione vi è più di cui tenere conto rispetto a ciò che posso pensare con chiarezza. Se presto attenzione a ciò che mi trattiene, posso percepirlo meglio.

Che cosa direi se parlassi a partire dal mio …..? Se qualcuno ascoltasse, potrei parlare per ore. Potrei dire ciò che posso dire sull’argomento. Potrei dire che conosco il solito consiglio che mi darebbe. Potrei parlare di come sono i miei figli. Potrei elencare ciò che ho già provato e ciò che è accaduto. Ma dopo avere detto tutto ciò che posso dire, mi resterebbe il dilemma. Dopo avere detto tutte queste cose, ci sarebbe ancora “…..”, il senso di quel qualcosa in più che posso dire, e il senso di ciò che sarebbe giusto fare se potessi dargli una forma. Il “…..” è il mio senso di quel di più che richiede di essere portato avanti con delle azioni.

Nuovi concetti e un nuovo tipo di concetto

In un altro testo (Un Modello di Processo, disponibile presso The Focusing Institute) ho delineato un nuovo modello teorico del corpo, del suo processo vitale vegetativo, del suo comportamento e del ruolo che svolge nella lingua e nella cultura.

Il modello ha due potenzialità: la potenzialità della logica, di concetti correlati con precisione, ma anche una nuova potenzialità. I concetti non sono soltanto quelli logici ordinari. Sono anche di un nuovo tipo. Sono concetti che portano in sé l’esperienza che ho descritto insieme ad essi. Questi concetti derivano da questo tipo di esperienza e la contengono. Ci si può muovere a partire da questi concetti in due modi: in modo logico, ma anche a partire dal …. sentito nel corpo che essi portano con sé.